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Black&White stories summer: il ritorno di Romeo

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Il ritorno di Romeo

redazionejuvenews

TORINO - Nell'estate del 1976 bastano due acquisti per far parlare di rivoluzione in casa bianconera. Dall'Inter arriva Roberto Boninsegna. Dal Milan Romeo Benetti: sarà lui l'anima della nuova Juve di Giovanni Trapattoni.

IL VENETO SILENZIOSO

Nella Juve Benetti rappresenta uno dei non frequenti casi di giocatore ceduto e poi ritornato. Nel 1968 arriva dal Palermo e di lui Vladimiro Caminiti su Hurrà Juventus offre una descrizione tanto sintetica quanto precisa sul suo carattere fuori dal campo: «è un veneto poco snob e molta polenta». Un taciturno, il suo mister in rosanero Carmelo Di Bella sostiene è in grado di non parlare per un'intera settimana, salvo poi scatenarsi alla domenica sul rettangolo di gioco. Ha infatti buona personalità, calcia con entrambi i piedi e anche a Torino emerge la sua costanza di rendimento. Ma al mister Heriberto Herrera non basta, dopo una sola stagione Romeo viene dirottato alla Sampdoria nell'ambito di un'operazione di mercato che porta in bianconero Francesco Morini e Roberto Vieri, il padre di Bobo.

L'AVVERSARIO

Dopo la Sampdoria, c'è il Milan. Benetti diventa un pupillo di Nereo Rocco e in rossonero ha modo di incrociare diverse volte la Signora. Il suo profilo di centrocampista si completa. Sempre sul mensile bianconero, Angelo Caroli lo descrive così: «Strutturalmente è piantato a terra come una radice di una vecchia quercia; avendo giocato da giovane ad hockey su ghiaccio, mostra nei movimenti un certo impaccio che è residuo dell'antica disciplina da lui praticata. Per questo è ben ancorato al terreno di gioco, con il baricentro difficilmente “rimovibile” dall'urto di un avversario. La potenza nell'azione, l'asprezza nei contrasti, la continuità nello spingere le sue poderose gambe, sono le armi efficaci di un centrocampista che è diventato, con il trascorrere degli anni, il pilastro della nazionale italiana».

ROMEO A TUTTI I COSTI

Giovanni Trapattoni vuole fortissimamente Benetti alla Juventus. A Milano ha avuto modo di conoscerlo da vicino. Come racconta nella sua autobiografia, il Trap va da Boniperti e sceglie la via diretta, senza tanti giri di parole si rivolge al Presidente con convinzione assoluta: «Io Benetti l’ho allenato, so di che cosa sto parlando. E’ fortissimo. Fortissimo. Se lo prendiamo vinciamo subito tutto».

IL NUMERO 10

Via Fabio Capello, dentro Romeo Benetti. Non è un semplice scambio di pedine quello che avviene tra Milano e Torino. Non è azzardato definirlo un cambio di paradigma culturale. Significa passare da un regista molto tecnico, geometrico, dal gioco raffinato a un giocatore che fa del dinamismo e della presenza fisica la sua principale forza. Caratteristiche opposte che portano comunque il neoacquisto a indossare la maglia col 10, il numero dei registi. Nel caso di Romeo è il suo esercizio di leadership a dargli quella funzione, in una squadra dove tutti sono abituati a comandare il gioco.

UNA FACCIA DA FILM

La Juve del 1976-77, la prima di Benetti, vince scudetto e Coppa Uefa. Di quella squadra lui rappresenta l'attitudine guerriera e irriducibile, quella che va sui campi d'Europa a misurarsi in partite con un livello agonistico altissimo. Romeo diventa l'idolo della curva Filadelfia, lo incitano a “picchiare” persino quando si presenta in borghese sul campo, prima dell'inizio della partita. Dotato di un coraggio così genuino da renderlo un personaggio, anche grazie al suo volto da cinema. E se è noto come Sergio Leone abbia tratteggiato Clint Eastwood come un attore dalle due espressioni («con il cappello e senza cappello»), lo scrittore Giorgio Vasta ha definito Benetti un «Giuseppe Garibaldi che gioca a pallone, ma senza il berretto».