Gianluigi Buffon, leggenda della Juve e attualmente capo delegazione della Nazionale, ha parlato a La Gazzetta dello Sport riguardo il momento che sta attraversando l’Italia, attesa a marzo dai playoff contro l’Irlanda del Nord. Di seguito le sue parole.
“Il problema della Nazionale è questo: vivere in due mondi che non s’incontrano. Da un lato, in virtù della nostra storia, siamo presuntuosi: pensiamo che tutto ci sia dovuto per grazia divina. Dall’altro però facciamo grandi analisi sull’evoluzione del calcio, sul fatto che non esistano più le piccole, e siamo tutti d’accordo.
Ma quando queste ‘piccole’ ti mettono in difficoltà, oppure le batti solo 1-0, ecco che senti: ‘Non si può vincere così, che vergogna…’. E dalla spocchia precipiti nella paura. Una discreta propensione al tafazzismo. Ma è così difficile trovare un equilibrio?
Dopo il Mondiale in Sudafrica, nel 2010, avevo capito quello che stava succedendo. I cambiamenti in corso più veloci di quanto si pensasse. Era una provocazione, ma fino a un certo punto. Volevo anche che non ci raccontassimo storie che non esistono più.
La Francia è una grande da trent’anni, la Spagna da quasi venti, loro sono nel presente. La nostra storia è molto più lunga. Stiamo vivendo un periodo di transizione e non abbiamo capito quale strada prendere. Paghiamo anche gli errori del passato. I risultati di oggi risalgono a venti anni fa, a quando ci siamo adagiati sulla nostra forza, su Buffon, Cannavaro, Totti. Pensando che sarebbe stato eterno per grazia ricevuta. Già allora dovevi ripensare a modelli tecnici e tattici, ma siamo stati cicale.
Sono in FIGC da oltre due anni e non potete negare che qualcosa sta succedendo. Giovanili vincenti, progetti. Ma l’altro giorno sorridevo: se riusciremo a invertire la rotta, non godremo noi dei risultati. Però è una scelta coraggiosa che la politica spesso non fa, attenta ai voti e quindi al tutto e subito, senza pensare alla programmazione. Noi dovevamo farlo, ci vuole pazienza. E comunque: se lavori bene, qualche risultato arriva subito. Se lavori male? Semplice: tra dieci anni lei intervisterà un altro Buffon al mio posto, e domande e risposte saranno le stesse.
La soluzione è ripartire dal basso: intendo da sette a tredici anni, quando c’è il vero imprinting. Dai quindici anni puoi sempre migliorare, però il talento si forma prima, oltre all’aiuto di madre natura che non trascurerei. Con Prandelli stiamo parlando per capire come impostare questo lavoro, ma volevamo aspettare le qualificazioni per definire il tutto. E se poi va male, ci siamo detti? Tutti via, si torna a casa, arriva uno nuovo con altre idee e magari cancella il progetto… Se si cominciano progetti così, ci vuole stabilità.
In partite così ogni aiuto conta e il pubblico dà una grandissima mano. E la paura attanaglia, non ti fa giocare: ci vuole invece il giusto rispetto, tenendo ben presente che per arrivare alla finale bisogna passare per la semifinale… non dobbiamo annegare in una nuova Macedonia.
Serve autostima. convinzione. Ma c’è altro. I ragazzi vogliono anche essere apprezzati, hanno bisogno d’affetto. Di entusiasmo. Loro danno disponibilità totale. Posso fare un appello? Vogliamo bene all’Italia. Tutti. Gattuso allena da dodici anni, è un grande professionista: non mi piace e non capisco questa prevenzione nei suoi confronti.
Con lui parlo di soluzioni e idee, prima e dopo la partita, in settimana. Ma decide tutto lui, tipo il doppio 9 che è un’intuizione geniale: quando me l’ha anticipato, gli ho chiesto se fosse sicuro. Mi ha spiegato come avrebbe funzionato, i movimenti. Ora la formula non si tocca più.
Rino è il CT giusto, è la figura migliore che si potesse scegliere. E voi giornalisti lo sapete. Nel senso che parlate con i giocatori più di noi dirigenti, e sapete esattamente cosa pensano di Rino. Non pensi che non ci siamo accorti che i media che ci seguono sono meno critici.
Niente sindrome di Stoccolma. State toccando con mano il bello che c’è e che può diventare bellissimo. Le critiche ingiuste vengono soprattutto da fuori. E io che in Nazionale ho giocato vent’anni so una cosa: l’Italia vince soltanto se si fa gruppo. Proprio quello che Rino sta creando. Se poi se si sbaglia, bene, si valutano le colpe e tutti a casa. Ma prima no, per favore…»
Essere critici è il vostro dovere, ci fa bene. Io ho solo detto che fino al 78’ eravamo 1-1: non è forse vero? Poi un crollo mentale, più che fisico, inaccettabile. Su questo dobbiamo lavorare tanto. Succedeva anche con Spalletti: dopo cinque partite di Nations League da grande squadra, il blackout. Inspiegabile.
Ma la Norvegia è una top. Una delle tre o quattro più forti d’Europa. La Norvegia farà strada al Mondiale: ha entusiasmo perché sa di poter scrivere la storia, due o tre talenti che spaccano, e una fisicità unita al dinamismo, impressionante, non come trenta anni fa quando i giganti erano immobili, impacciati. A leggere la loro distinta a San Siro mettevano paura… Sette su undici della formazione titolare erano da 1,89 a 1,96. E poi con Haaland cominciano sempre da uno e mezzo a zero»
Sul 2-1 per loro, devi restare tranquillo e aggrappato alla partita, accontentarti magari che finisca così, invece di sbilanciarti per frustrazione. Capisco i giocatori, ma devi stare lì, concentrato, reparti stretti e magari da una mischia nasce il 2-2… Al massimo accetta il 2-1: perdi sempre, ma non è il 4-1 che fa male.
E allora? Dobbiamo cambiare, non possiamo subire più questi crolli emotivi, si stanno ripetendo. Impossibile essere in partita novanta minuti: a volte stai settanta, ma negli altri venti devi gestire e non far succedere disastri. Ne parlavamo anche con Spalletti. Non puoi prendere tre gol in dieci minuti. Lavoreremo su questo. Se risolviamo, ce la giochiamo con tutti.
La Nazionale è un brutta bestia che si maneggia con cura, ma con poco tempo a disposizione. Quello che di Rino mi piace di più è la sintesi. Forse dimenticate i 19 gol in 6 partite: quando mai l’Italia ha segnato tanto nella sua storia? Quante goleade ricordate? E qualcuno s’è lamentato per i ‘soli’ tre o quattro gol all’Estonia: ma si scherza? Abbiamo un punto fermo per il futuro: il gol, e attaccanti forti che giocano assieme.
Dobbiamo recuperare tutti i migliori: se qualcuno si mette in evidenza, non c’è preclusione di sorta, anche perché ne abbiamo bisogno. Aspettiamo Chiesa: ce ne sono pochi in Europa come lui. Ma Rino non ha lasciato a casa nessuno che lo meritasse. Ripeto: conta il gruppo…
Tutti ci battiamo il petto al momento dell’inno, poi magari ci asciughiamo lacrime finte sulla camicia dopo la sconfitta… Per essere chiari: ci aiuterebbe tantissimo avere dei giorni liberi. Ma dobbiamo trovare il modo di essere più forti anche di queste concessioni che non arrivano. Perché, come dice Rino, siamo forti. Punto. Il Mondiale è una magia da far vivere al Paese, non possiamo non andare. Aiutiamo il sogno. Al dopo pensiamo dopo. Il focus ora è soltanto la partita.
Mio figlio? Ah, be’, fino a quattro o cinque mesi fa aveva l’uno per cento di possibilità di essere un calciatore. Ora ha soltanto lo zero virgola cinque. Perché non ha ancora fatto niente, ha dieci minuti di Serie A addosso e gli ho detto di non leggere niente che lo riguardi. Stiamo correndo troppo e non gli fa bene. Quando giocavo e cominciavano i primi elogi, papà e mamma mi ricordavano che in famiglia una decina di persone avevano già vestito maglie di varie nazionali, quindi non facevo niente di speciale. È servito tantissimo.”