In un’intervista rilasciata ai taccuini di Tuttosport, Cristian Brocchi ha offerto il suo punto di vista su alcuni giocatori bianconeri, tra cui Manuel Locatelli, calciatore che conosce bene dai tempi del Milan. Di seguito l’intervista completa:
Cristian Brocchi, domenica si gioca Juve-Milan. Che ricordi le rievoca questa partita?
“Da allenatore, mi viene subito in mente la sconfitta nella finale di Coppa Italia del 2016… Una serata che mi ha lasciato una grande delusione. In parte, forse, avrebbe potuto cambiare il mio percorso da allenatore. L’avevamo giocata bene, perdendola poi nel finale. Avremmo meritato di più. Ma fa parte del gioco… Poi ovviamente ripenso alla Champions vinta con il Milan nel 2003. Un ricordo indelebile e stupendo. A Manchester non sono sceso in campo, ma nel corso del torneo ho dato il mio contributo anche da titolare, come nella semi contro l’Inter. Quel successo ce l’ho tatuato sulla pelle…“.
Mi racconta che aria si respirava negli spogliatoi negli attimi prima della finale?
“A dire la verità, eravamo molto più tesi per gli euroderby della semi. A Manchester ci siamo arrivati con le spalle più larghe, dopo due vigilie toste. L’idea della sconfitta non ci ha sfiorato nemmeno per un secondo. Ed era la forza del nostro gruppo. Eravamo più pronti e consapevoli: sapevamo che, in un modo o nell’altro, l’avremmo portata a casa. Non servivano discorsi o frasi a effetto. Bastava guardarsi negli occhi: c’era un non verbale meraviglioso…“.
Da quello spogliatoio, oltre a lei, sono usciti tanti allenatori tra cui Gattuso. Che mi dice della sua nomina a ct della Nazionale?
“C’era bisogno di una figura che portasse garra e senso di appartenenza: valori che Ringhio ha sempre incarnato nel corso della sua carriera. Da allenatore, magari, non è ancora riuscito a imporsi come voleva. Ma questo non significa che lui e il suo staff non sappiano lavorare. Per gli Usa voglio essere fiducioso: ho un figlio di 16 anni che non ha mai visto l’Italia ai Mondiali. Non sarà facile, ma ci credo“.
Da Frattesi a Locatelli, passando per Colpani e Di Gregorio. Non la emoziona vedere come tanti dei suoi ex giocatori oggi siano nel giro della Nazionale?
“Certo, ma non mi piace parlare dei miei ragazzi prendendomi il merito dei loro exploit. È più bello quando sono loro a parlare di te“.
Beh, Locatelli l’ha fatto più volte. È stato lei a portarlo nella prima squadra del Milan nel 2016 e a farlo esordire in Serie A…
“Erano un paio d’anni che dicevo al presidente Berlusconi quanto fosse forte Manuel, e che un giorno sarebbe stato un giocatore importante per il Milan. Il mio contributo nella sua crescita non sta tanto nell’averlo fatto esordire in A, quanto più nel lavoro che abbiamo fatto insieme nel settore giovanile. All’inizio Manuel era tutto tacco e punta. Un centrocampista elegante e tecnico a cui mancava, però, qualcosa dal punto di vista difensivo. Capitava spesso che finisse le partite senza un minimo di fango sulla divisa. Ecco l’ho aiutato a sporcarsi, a metterci più agonismo, più grinta. Oggi quando lo vedo entrare in scivolata o vincere un duello mi esalto. Mentalmente, poi, è davvero forte. Ma ha dovuto fare un percorso: al Milan all’inizio ha vissuto di entusiasmo fino ad arrivare a quel gol meraviglioso con la Juve. Da lì in poi tutti si aspettavano che continuasse a giocare a quel livello e lui non è riuscito a reggere l’urto dal punto di vista mentale. L’esperienza al Sassuolo è stata fondamentale in questo senso. Alla Juve ora è pronto perché ha capito che per giocare a determinati livelli devi farti andare giù determinate dinamiche. Negli ultimi due anni non ha sbagliato una partita. Ha la personalità per poter indossare la fascia bianconera“.
Mi racconta come è andata il giorno dell’esordio in A?
“Quando ho preso il posto di Mihajlovic, lui era giù di morale perché non aveva ancora giocato un minuto. Ci teneva tanto, non vedeva l’ora. Siamo andati a Genova per la mia prima partita contro la Samp e l’ho tenuto in panchina. Al fischio finale è venuto da me chiedendomi il perché non l’avessi mandato in campo. Per stemperare gli risposi così: “Tra i miei sogni c’è quello di farti esordire a San Siro, perché lì ne giocherai tante”. È bastata quella frase per fargli tornare il sorriso. Si è tranquillizzato. E la settimana dopo ho tenuto fede a quella promessa, lanciandolo nel finale contro il Carpi“.
E di Di Gregorio che mi dice? È stato lei a volerlo al Monza?
“Sì, anche se è arrivato da noi per fare il secondo portiere. Lui è un professionista esemplare: all’inizio l’ho fatto lavorare tanto perché volevo che facesse un salto di qualità nel gioco con i piedi. Ha avuto qualche difficoltà, ma se non passi da questi momenti come fai a migliorare? Michele negli ultimi anni è cresciuto in maniera esponenziale. È fortissimo, solido. Non esistono portieri che nell’arco di una stagione non commettono almeno 2/3 errori. Quindi non toccatemi Digre: deve essere lui il portiere titolare della Juve“.
Insomma, chi vince domenica?
“Mi aspetto una partita equilibrata. Il Milan è diventata squadra: sa lottare e soffrire insieme. La Juve ha la voglia e la volontà di mettere da parte gli ultimi risultati e rilanciarsi alla grande. Se mi devo sbilanciare dico che ha più probabilità di vincere il Milan. Ma al 51%… Ho molta stima nei confronti di Allegri: crea il gruppo a sua immagine e somiglianza: pragmatico, focalizzato sulla vittoria. I rossoneri dal centrocampo in su sono davvero forti. In difesa, però, gli manca ancora qualcosa… Ci vorrebbe un centrale forte, alla Bremer, per intenderci…“.