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Patrick Berg (capitano Bodo/Glimt): “Juve? Sarà una grande sfida per noi”

In una lunga intervista rilasciata ai taccuini di Tuttosport Patrick Berg, capitano del Bodo/Glimt, ha parlato della sfida di Champions League di questa sera contro la Juventus. Di seguito l’intervista completa:

La Juventus è molto indietro in classifica (26ª) dopo le prime 4 giornate di Champions League e teme le insidie della trasferta a Bodø. Come “inquadra” la partita?
Sarà una grande sfida per noi. Non c’è dubbio che un grande club con una storia gloriosa è arrivato all’Aspmyra, ma noi sappiamo bene di cosa siamo capaci e chi siamo. Abbiamo lavorato duramente per arrivare fin qui e sappiamo che quando diamo il meglio in casa possiamo battere chiunque. Tuttavia la cosa più importante per noi è continuare a crescere e imparare giocando partite di questo livello”.

Per il calcio italiano, il nome Norvegia è diventato sinonimo di incubo, di spauracchio: vi siete qualificati direttamente per i prossimi Mondiali mentre l’Italia è costretta ad affrontare i pericoli degli spareggi… E la Juventus non centra il successo in campionato da 5 cinque anni nel corso dei quali ha accumulato lo spaventoso ritardo di 82 punti complessivi rispetto alle vincitrici dello scudetto. Una crisi profonda: 4 allenatori (Allegri, Motta, Tudor, Spalletti) cambiati negli ultimi 15 mesi… Al contrario il Bodø/Glimt ha conquistato 4 degli ultimi 5 titoli norvegesi: siete una squadra vivace, fresca, pimpante… Come pensa di mettere ulteriormente in difficoltà questa Juve che sta arrancando sia in Serie A che in Champions League?
“Non siamo ingenui: la Juventus ha tanta qualità ed esperienza a questi livelli. Noi abbiamo la nostra identità e vogliamo giocare con grande intensità. Dobbiamo sfruttare i loro punti deboli: quando sono sotto pressione, quando devono adeguarsi, sono quei momenti che creano le occasioni. Vogliamo controllare il centrocampo, lottare su ogni pallone ed essere pronti quando arrivano le opportunità. Bisogna essere pazienti, ma anche coraggiosi”.

In Italia tutti ricordano ancora la vostra vittoria per 6-1 sulla Roma di José Mourinho quattro anni fa… Anche lei hai segnato un gol, mentre Botheim e Solbakken hanno realizzato una doppietta. Puoi raccontarci cosa è successo quella sera di ottobre del 2021?
Quella partita è stata magica per noi. Quella sera quasi tutto ha funzionato alla perfezione. L’energia, il pubblico e la nostra intesa in campo. Abbiamo giocato con gioia e superato tutte le aspettative. Per me personalmente era importante dare il mio contributo, ma ce l’abbiamo fatta soprattutto come squadra. Quella sera abbiamo dimostrato cosa può fare il Bodø/Glimt in casa”.

Poi l’avete rifatto la scorsa primavera contro la Lazio: 2-0, due gol di Saltnes…
Anche quella è stata una serata molto speciale. Sapevamo che la Lazio era forte, ma quel giorno siamo stati bravissimi e in quel caso qualsiasi squadra avrebbe faticato a Bodø. Volevamo creare spazio, essere aggressivi e non lasciarli dominare. Ulrik Saltnes è stato freddo sotto porta e siamo riusciti a giocare il calcio che volevamo“.

Giocare a una latitudine di quasi cento chilometri sopra il Circolo Polare Artico e su un terreno articifiale sono motivi per cui i vostri avversari soffrono di quella che la stampa chiama “febbre gialla”, come il colore delle vostre maglie?
Ci possono essere molti fattori. Per alcune squadre può essere insolito giocare nel nord della Norvegia: il clima, il viaggio, il terreno. Noi ci siamo abituati, quindi questo ci dà probabilmente un piccolo vantaggio. Ma non è solo una questione geografica: noi siamo una buona squadra di calcio“.

Il vostro allenatore Kjetil Knutsen è alla guida della squadra da 7 anni. È lui il segreto, uno dei segreti, del Bodø/Glimt? Cosa c’è di così speciale in lui?
Kjetil ha costruito questo progetto con pazienza e con un’identità e una visione molto chiare. Ci dà fiducia, ci lascia essere noi stessi, ma ci chiede anche molto. È aperto al dialogo e pone grande enfasi sul nostro sviluppo sia come squadra che come individui. La sua continuità è stata fondamentale. Non è solo un allenatore, è un leader che capisce il club e la cultura di questo posto“.

Quanto è importante il lavoro del vostro “mental coach”, Bjørn Mannsverk, ex colonnello pilota di caccia dell’aeronautica militare norvegese? Cosa vi ha insegnato e come vi motiva? Bjørn è incredibilmente importante per noi. Il suo approccio – “concentrarsi sulle prestazioni, non sui risultati” – ci ha permesso di allenarci, giocare e vivere in un ambiente in cui possiamo essere tranquilli, ma ambiziosi. Ci aiuta ad affrontare la pressione e a concentrarci su ciò che possiamo controllare. A me personalmente dà un senso di sicurezza che mi permette di potermi esprimere con libertà e concentrazione“.

 Lei è il capitano, “bodøværing” (nativo di Bodo, ndr) e forza trainante del centrocampo tanto che i media l’hanno paragonata al franco-marocchino Guendouzi della Lazio. Concorda? Chi era il tuo idolo, la tua fonte di ispirazione?
È bello essere paragonato a giocatori bravi, ma io cerco di essere me stesso. Voglio giocare il mio calcio. Per quanto riguarda gli idoli, ho sempre ammirato le persone che mi circondano, specialmente quelle della mia famiglia di calciatori“.

Lei ha sempre giocato per il Bodø/Glimt tranne che per 8 mesi con i francesi del Lens. Ha rapidamente rescisso un contratto quadriennale per tornare a casa… Che è successo? Cosa non ha funzionato?
“È stato un periodo di apprendimento per me. Volevo mettermi alla prova all’estero e il Lens era un’opportunità. Ma non considero affatto un fallimento la mia esperienza in Francia. Ho imparato molto, ma ho capito cosa significa per me il Glimt. Avevo bisogno di stare in un posto dove potessi davvero crescere, dare il mio contributo e sentirmi a casa. Il Bodø/Glimt non è affatto un “passo indietro” rispetto al calcio francese“.

Proviene da una straordinaria dinastia di calciatori: suo nonno Harald, il prozio Knut, papà Ørjan e gli zii Runar e Arild hanno tutti giocato per il Bodø/Glimt. In Norvegia si dice che Arild fosse il più talentuoso di tutti, ma è scomparso nel 2019 all’età di soli 44 anni per una malattia rara (encefalomielite mialgica, ndr). Può raccontarci qualcosa, magari un consiglio, un ricordo speciale, del suo caro zio?
Zio Arild era un grande giocatore, un centrocampista creativo e di talento. Una delle cose più importanti che ricordo di lui è la sua umiltà. Non parlava mai molto di sé stesso, ma amava il gioco. Il suo consiglio era sempre quello di essere sincero, lavorare sodo e non dimenticare mai da dove venivo. Questo ha significato tanto per me nella mia carriera“.

Stefania Palminteri

Classe 1969, giornalista pubblicista dal 2018. Redattore per Cittaceleste.it, Juvenews.eu, Notiziecalciomercato.eu, Mondoudinese.it, Ilmilanista.it

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