Comolli
In una lunga intervista rilasciata ai taccuini di Tuttosport Gian Paolo Montali, ex dirigente di Juventus e Roma, ha espresso il proprio pensiero sul momento che sta attraversando la società bianconera. Di seguito l’intervista completa:
Gian Paolo Montali, ma lei come ci è finito nel calcio?
“Come diceva Whitman: “Sono un uomo vasto, contengo moltitudini”. Tutto parte da John Elkann: mi chiama alla Juve per ridisegnare lo stile del club dopo Calciopoli. Poi dovevo andare al Napoli, ma in una settimana è cambiato tutto e sono finito alla Roma. Ho fatto da advisor nell’acquisizione del Leyton Orient in Inghilterra, ma da lì mi sono fermato: il richiamo di Malagò e Chimenti per affidarmi l’organizzazione della Ryder Cup di golf è stata più forte del pallone. E adesso sto lavorando ad un progetto con la Technogym“.
Quale Juve-Roma ricorda più volentieri?
“I ricordi di Juve e Roma sono fortissimi: due ambienti agli antipodi, ma mi sono divertito tanto. Di Juve-Roma ne ricordo uno veramente con piacere: il blitz con i giallorossi a Torino il 23 gennaio 2010, con i gol di Totti e Riise. Fu una vittoria speciale“.
Come riuscì John Elkann a convincerla ad andare alla Juve?
“Mi sorprese molto. Stavo raccogliendo delle ciliegie: sento il telefono che squilla, pensavo ad uno scherzo di uno dei miei amici. John, quando gli descrissi l’attimo, mi disse: “Che bella scena bucolica”. Capii che fosse lui. Corsi a Torino per incontrarlo. Mi convinse a cambiare vita: dovevo rivoluzionare lo stile della società. Mi chiese di creare un progetto a medio-lungo termine, di dare un volto nuovo al club, un’immagine moderna dopo Calciopoli“.
E poi? Perché il filo si è spezzato?
“Sarei rimasto, ma fece tutto Blanc: pensava che non potessero esserci tre persone diverse a fare il presidente, l’amministratore delegato e il direttore generale. Immaginava che questo ruolo potesse essere ricoperto sostanzialmente da una sola persona. Elkann, però, si comportò da vero manager: si fidò di Blanc, come adesso si sta fidando di Comolli. Prima di andare via, però, gli consigliai di incontrare Beppe Marotta, un uomo di calcio che mancava in quella Juve. Fu lui la chiave per far svoltare il club“.
Marotta arriva a Torino e scrive la storia, mentre lei sfiora il Napoli prima di firmare per la Roma.
“A Napoli era già tutto fatto. Scelsi allenatore e direttore sportivo, poi rimasi scottato per la questione dei diritti d’immagine con De Laurentiis. Lui è nato per arrivare primo in ogni cosa che fa: non mi ha parlato per tre anni dopo la nostra rottura, ma riconosco il suo valore da imprenditore. Dopo la fumata nera andai a Roma, senza rimpianti“.
Chi la scelse a Roma?
“Unicredit, che allora curava il delicato passaggio di proprietà con la famiglia Sensi, ma con l’arrivo di Pallotta ero di troppo, c’erano idee diverse sul modo di gestire il club, ho preferito rinunciare a due anni di contratto. Il mio bilancio è fantastico: sfiorammo lo scudetto con Ranieri. Sono stato benissimo: c’è una sintonia speciale con la gente. Adesso con Gasperini giocherà per vincere“.
La Juve non vince da tanto, troppo tempo. Si è chiesto il motivo?
“Per stare nella Juve ci vuole una leadership forte. Ci vogliono manager abituati a vincere. Non esiste altra possibilità, non possono essere solo i giocatori a fare la differenza: società, giocatori e allenatore, in ordine d’importanza, determinano il successo di un club. Non so se questo management sia pronto a primeggiare“.
A proposito di management, cosa pensa di Comolli?
“Non lo conosco, ma questa scelta non mi piace. Non mi stuzzica l’idea che i dati vengano prima degli uomini. Gli algoritmi li utilizzano le outsider, non la Juve. Alla Juve si deve vincere. Per prendere un giocatore devi sapere tutto: come vive, dove vive, l’attitudine, come si approccia il gruppo, le referenze. Mi meraviglia che Elkann abbia preso un dirigente dal Tolosa, dunque di fatto da un’outsider“.
Questi sono i giorni dell’offerta di Tether per la Juve.
“Elkann è indispensabile, ma deve avere ancora voglia di Juve. Solo in questo caso può fare la differenza. Di sicuro, nel 2006, la sua fame di vittorie era tanta. Pur col suo profilo: lui è un uomo dell’essere, non dell’apparire, ma non gliene si può fare una colpa. Il patrimonio della Juve è la gente di Cinisello Balsamo, Bolzano, Ragusa, Ponza, Ventotene. Questa è la vera ricchezza. Se John ha deciso di dare forza alla tradizione, allora deve strutturarsi per vincere“.
Torniamo a Juve-Roma: è anche la sfida tra Spalletti e Gasperini.
“Ci sono gli allenatori di campo e quelli che incidono anche nello stile del club. Spalletti è un uomo di campo, ma ha bisogno di una società forte: lo apprezzo tanto, una volta si presentò in incognito ad una mia lezione universitaria. Il tema era “fare squadra per vincere”: mi sorprese positivamente. Gasperini invece ha già cambiato l’attitudine della Roma: è simile a Liedholm e Capello, non si fa influenzare dall’esterno“.
Perchè i grandi uomini provenienti da altri sport non funzionano nel calcio?
“Velasco è un allenatore, io ho fatto il manager. Sono ruoli completamente diversi, non siamo paragonabili per questo. In ogni caso, speravo che i gruppi stranieri prendessero spunti da uomini di altri sport, ma così non è andata. I dirigenti sono rimasti sempre uomini di calcio, alcuni di questi anche mediocri. Nel calcio mi hanno sempre chiamato imprenditori, non addetti ai lavori“.
Ha qualche rimpianto professionale? Per esempio, nel calcio non è riuscito a vincere.
“Mi pento solo di non aver accettato l’idea di fare il manager all’inglese al Leyton Orient. Quello è l’unico rimpianto. Era una follia, ma sarebbe stato bello provarci: il presidente Becchetti, che aveva preso il club, me l’aveva chiesto, ma non me la sono sentita. Potevo provarci, non ho avuto il coraggio di farlo“.
Cosa pensa di aver lasciato alla Juve?
“Ho portato uno stile e ho contribuito al passaggio di Marotta alla Juve: mi sembra tanto, poi fatico a giudicarmi, ma di sicuro sono stato benissimo“.
È convinto che tutti possano lavorare alla Juve?
“No, solo chi ha dentro qualcosa di speciale. Faccio l’esempio di Fabio Paratici: era completamente diverso prima di passare alla Juve. L’ho ritrovato quando ero alla Roma, proprio contro la Juve. L’ho visto con gli occhi spiritati, tipici di chi ha l’ossessione della vittoria. Mi rimase impressa la sua faccia. La Juve ti trasforma“.
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