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Ibrahimovic: “Giocare in Italia mi ha fatto diventare quello che sono oggi”

TORINO – Il calciatore svedese Zlatan Ibrahimovic ha parlato intervistato dalla rivista GQ alla quale ha parlato del suo futuro e del passato in Italia.

“Ero alla Juve e giocavo contro l’Inter. Materazzi mi fa un’entrata assassina e mi fa male. Come calciatore era cattivo. Ci sta ma ci sono due modi per giocare da cattivo, uno è per farti male. Anche Maldini, per dire, giocava da cattivo, ma con un altro obiettivo. Quindi, era Juve-Inter 2006, dopo il fallo vado fuori un attimo per curarmi e Capello mi fa: ‘Ti cambio’. E io dico: “No, entro”. Volevo tornare in campo solo per ripagare Matrix, perché se uno mi fa una cosa così non mi passa più dalla mente. Ma dopo due minuti ho troppo dolore, non riesco a giocare. Poi vado all’Inter, al Barcellona, al Milan… Nella prima partita, il derby 2010-11, sono tutti contro di me. Va bene, questo mi carica. Però se non hai il controllo non va bene, perché perdi la testa e fai qualcosa di stupido. Arrivo al rigore, e chi mi ha fatto fallo? Materazzi. Doppio rigore, 1-0 Milan. Nel secondo tempo Matrix mi carica e gli faccio una mossa di Taekwondo. L’ho mandato in ospedale. Stankovic mi dice: ‘Perché lo hai fatto, Ibra?’ E io gli rispondo: ‘Ho aspettato questo momento per quattro anni. Ecco perché’. E me ne sono andato. What goes around comes around. Poi il Milan ha vinto ed è stato un bel momento perché la vecchia società era grande.”

“Vivere e giocare in Italia mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Ero un attaccante anche prima, ma non così bravo. Capello mi ha insegnato tanto. Mi diceva: “Tu lavori per fare i gol. E devi aiutare la squadra a fare i gol. Le altre cose non contano, mi serve solo che segni”. E mi spingeva. Tutti i giorni, dopo l’allenamento, mi metteva davanti alla porta con 5 o 6 difensori e per un’ora si andava avanti a cross e testate. E poi sono diventato quello che sono, e dalla Juventus sono andato all’Inter dove ho avuto una grande responsabilità, perché volevano vincere e avevano bisogno del mio aiuto. Ho giocato con grandi compagni che mi hanno aiutato a farlo. La squadra era fortissima.”

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