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Juve, caso plusvalenze: le motivazioni del Tribunale federale

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Caso Plusvalenze, la scorsa settimana il Tribunale Federale ha prosciolto tutti i "sospettati": ecco le motivazioni

redazionejuvenews

Negli ultimi mesi aveva fatto scalpore l'inchiesta della Procura che aveva coinvolto molti club del campionato italiano, tra cui Inter e Napoli, ma anche Genoa così come la Juve. L'accusa ha cercato di dimostrare come alcune transazioni fatte dai club di calcio fossero gonfiate, a tutti gli effetti delle plusvalenze fittizie. Dopo mesi di inchieste e interrogatori, alcune settimane fa il Tribunale federale ha assolto tutti i "sospettati" in quanto il fatto non sussiste.

Oggi il presidente del Tribunale federale Carlo Sica ha spiegato in un lungo documento le cause che hanno portato alla decisione finale: "Il metodo di valutazione adottato dalla Procura federale può essere ritenuto “un” metodo di valutazione, ma non “il” metodo di valutazione (...). Il Tribunale ritiene che non esista o sia concretamente irrealizzabile “il” metodo di valutazione del valore del corrispettivo di cessione/acquisizione delle prestazioni sportive di un calciatore. Tale valore è dato e nasce in un libero mercato, peraltro caratterizzato dalla necessità della contemporanea concorde volontà delle due società e del calciatore interessato. E non è un caso che nella stessa Relazione dell’attività inquirente si faccia riferimento alla difficoltà di individuazione del fair value perché non assistito da un adeguato livello di elaborazione scientifica (...)".

"Il valore di mercato di un diritto alle prestazioni di un calciatore rappresenta il valore pagato dalla società acquirente al termine di una contrattazione libera, reale ed effettiva di quel diritto sul mercato di riferimento; e il libero mercato non può essere guidato da un metodo valutativo (quale che esso sia) che individui e determini il giusto valore di ogni singola cessione (...). Una volta ritenuto non utilizzabile il metodo di valutazione posto dalla Procura Federale a fondamento del deferimento e in assenza di una disposizione generale regolatrice, consegue che le cessioni oggetto del deferimento stesso non possono costituire illecito disciplinare", ha concludo Sica.